Juventus – Napoli

Ci sono vittorie che difficilmente possono essere spiegate.
Nella storia del Napoli ce ne sono state moltissime e nella mia personale storia di tifo ricordo soprattutto le sconfitte.
Quelle che dalla serie C ci hanno portato a vincere allo Juventus Stadium.

Chi ha vissuto quei momenti sa bene cosa significhi.
Io ero lì, in mezzo a tutta quella gente.
Il mio primo abbonamento in C, la trasferta a Gela, la finale persa ad Avellino…non abbiamo trofei da esporre in bacheca, ma ricordi da esibire con fierezza.

Juve Napoli di ieri è due immagini: punizione di Pjanic e deviazione che sbatte sul palo di Callejon. Il mio boccale di birra quasi già vuoto e l’ultimo sorso salvifico per inumidire la gola che intanto si era seccata. In quello stesso istante, in contemporanea, arrivano le persone che stavamo aspettando, amici di amici e tra questi l’ultimo a presentarsi si chiama Jesus.
Perentoria, lo invito a sedersi dicendogli che avremmo avuto bisogno di lui.
E infatti il risultato finale ha testimoniato l’efficacia della sua benevola presenza.
Dal Maestro dei Maestri a un altro Maestro, Maurizio.

Davanti a me, seduto ad un tavolo in coppia con una ragazza romana, un tifoso del Napoli.
Pelle e capelli scuri, di quei tipi forgiati dal sole, piccirillo ma male incavato, New Balance verdi al piede e un’inflessione dialettale teneramente diluita dall’italiano. Il primo tempo è antipasto, una bottiglia di vino rosso, straccetti con rucola e pomodorini e contegno.
Il secondo tempo è solo Jägermeister e la promessa che se il Napoli avesse vinto, saremmo stati tutti pagati. Anche lo juventino e l’arbitro del tavolo accanto.
La ragazza che era lì con lui, imbarazzata per le esternazioni, ha trovato conforto in me che dietro di lui stavo esternando dall’inizio della partita. Coppia giovane, di recentissima frequentazione, acerba ma già dinanzi alla prova del fuoco.
Il goal di Koulibaly è storia.
Ognuno ha esultato come poteva, in ogni angolo della terra. Io ho abbracciato il signore laziale che ha la moglie napoletana ed era lì a tifare per gli azzurri. L’ho abbracciato perché mi mancava abbracciare mio padre e ho voluto compensare così.
Io ho assistito a questa scena: il ragazzo in questione che gridava alla ragazza che se fosse successo chella c’aveva succedere, lui l’avrebbe sposata. Che non ci sarebbero stati santi, che si sarebbe dovuta già anticipare nell’avvisare i genitori perché lui l’avrebbe sposata.
Quando mi sono avvicinata a lei per abbracciarla e congratularmi, incredula mi ha detto che era solo la quarta volta che uscivano assieme.
Le ho risposto che in ogni caso anche lei era nella storia, la mia personale.

Questo per me significa tifare Napoli.

Un giorno all’improvviso, gli occhi azzurri

Un giorno all’improvviso è un’immagine dell’infanzia, quella di una bambina aggrappata alle ringhiera di un balcone incuriosita dalla strada sottostante dipinta d’azzurro su cui scorreva come un fiume in piena un’umanità festante.

Corteo dionisiaco, di quel flusso ricordo il dettaglio di un auto sul cui tetto era stata montata una bara, con su scritto Milan, che ai miei occhi abituati a vedere tutte le cose grandi sembrava davvero gigantesca.

Era il 1987, io avevo sei anni e il Napoli aveva vinto il suo primo scudetto. A quell’età, l’unico azzurro che conoscevo era quello del cielo e quello degli occhi di mia nonna. Sarebbe dovuto passare qualche anno ancora prima di iniziare ad associare un’emozione diversa, ma pur sempre forte, a quel colore. Posso dire però con certezza che è stato in quel preciso momento che io mi sono innamorata del Napoli.
E non ho più smesso di guardarlo con quegli occhi azzurri lì, aggrappata a una ringhiera dello stadio e col cuore che batte come se fosse sempre la prima volta.

Di bilanci e sbilanci

L’ultima di campionato di quest’anno la ricorderò per tutta la vita.
Avendo dato per scontato il secondo posto della Roma, immaginando un Genoa ormai salvo arrendevole, la consideravo una partita senza alcuna importanza.
Meglio così vista la concomitanza del match con l’evento medievale cui dovevo prendere parte. Continua a leggere “Di bilanci e sbilanci”

Tenimmoce accussì, animelle e coratelle

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Metti ‘na sera bella alla Garbatella.

Metti che l’aria è di quelle che ti fanno venire voglia di trascorrere l’intera notte a passeggiare.
E mettici pure che compagno di quella passeggiata è un tuo carissimo amico, romanista.
L’unico romanista con cui riesci a confrontarti senza degenerare e senza la voglia di dare le capate nel muro.
L’argomento è ovviamente il secondo posto conteso dalle nostre squadre del cuore, argomento che visceralmente sentito da entrambi va discusso davanti ad un piatto di animelle e coratelle.
Anema e core, insomma.

Una tovaglia di carta, un mezzo litro di bianco della casa e un oste instancabile.
Anche lui romanista, ovviamente.
Insomma, mi trovo nella tana della lupa.
Anzi, nelle viscere della lupa.

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